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lunedì 11 giugno 2012

Città nella città




E dopo “l’anticittà” è la volta delle “città nella città”, cities within the city. Questo il tema di FestArch 2012, tutto volto a svelare le dinamiche più profonde delle città contemporanee. Il concetto richiama il moltiplicarsi – all’interno delle metropoli – di luoghi urbani che nascono, vivono e sopravvivono come sistemi sociali ed economici chiusi, sospesi tra le antitetiche condizioni di autosufficienza e esclusione, sociale e spaziale. Ogni anno, ogni mese, tante «micro-città» sorgono nel corpo della conurbazione consolidata: favelas, townships, insediamenti informali, per fare degli esempi. Ma anche distretti sanitari, tecnologici o culturali, interi quartieri che si depositano dopo i grandi eventi, new town, gated community. E ancora: architetture introverse e autosufficienti, infrastrutture perimetrate come stazioni, aeroporti e parcheggi, recinti commerciali e aree militari. Insomma, una serie di “microcosmi” il più delle volte quasi corpi estranei rispetto a quanto sta loro intorno. Sono molti i casi in cui l’espansione fuori controllo delle nostre città ha consentito a un tessuto informale anarchico di diramarsi senza un preciso disegno sotto la pelle della città consolidata. E, a volte (come nel caso di baraccopoli, bidonville e slum), il fenomeno spaventa, incarnazione della faccia – la più oscura – della vita urbana, spesso colpevolmente ignorata dall’urbanistica politica.
Questa tendenza, avvertono gli esperti, non deve essere trascurata, ma – al contrario –analizzata e, soprattutto, compresa. Anche perché non indifferenti sono le ricadute socio-politiche: queste città informali che nascono e proliferano in tutto il mondo, sono spesso il primo punto di accoglienza per i grandi flussi migratori e sono anche una risorsa, potenziali luoghi dinamici dove, ad esempio, può essere recuperata la produzione artigianale, spazi a volte fragili nella progettazione e nei materiali, ma molto forti nella loro identità, con forti capacità di influenzare voti politici e dinamiche sociali. Non meno evidenti, in questo senso, sono i fenomeni di dismissione o abbandono dei nostri centri storici, grandi “città nella città”, che richiedono riflessioni adeguate in grado di guardare al futuro. Ancora, nuove città prendono forma fuori dai confini di quella esistente, per assecondare una volontà di decentramento e di estensione incontrollata. Tutti temi, questi, imprescindibili per l’agenda politica di ogni paese. 

venerdì 8 giugno 2012

(Anti)città




















Ha aperto i battenti proprio ieri, a Perugia e Assisi, FestArch 2012, quarta edizione del Festival internazionale dell’Architettura organizzato dalla nota rivista di design “Abitare”. Per la seconda volta in Umbria, la kermesse vedrà sfilare numerose “archistar”, nomi celebri nel panorama internazionale in fatto di design, urbanistica e architettura, ma anche giovani talenti creativi. Per l’occasione, allora, ho rispolverato “Anticittà” (Laterza, 2011), il bel libro di Stefano Boeri, architetto e urbanista, assessore alla cultura al Comune di Milano, nonché mente del Festival.
Ma che cosa è “l’anticittà” coniata da Boeri? È un modo – profondo e provocatorio quanto basta – per descrivere la caratteristica dominante delle città odierne, dove una periferia, astratta e simbolica, lungi dall’essere mera entità fisica e spaziale, si è pericolosamente infiltrata ovunque, «svuotando di senso  la nostra vita urbana». Siamo soliti intendere la periferia come margine esterno della città? Sbagliato. La periferia – sostiene l’architetto milanese – non è più (o, forse, non è mai stata) un concetto geografico: non è un territorio riconoscibile nel suo essere distante e separata dal centro storico delle nostre città. La periferia è ovunque. O meglio, è dove c’è l’anticittà, ossia dove si afferma degrado, povertà e assenza di servizi. «Pensate a Napoli e Genova – scrive l’architetto – o, ancora, a Barcellona e a Marsiglia: la “periferia” è in pieno centro».
Le nostre (anti)città appaiono allora più che mai disgregate: non più insiemi organici e coesi, ma accozzaglia di «oggetti giustapposti». Nella dispersione del territorio, abbiamo creato un arcipelago di sistemi chiusi, forti e impenetrabili», quasi delle “monadi” («il centro commerciale, l’area terziaria, i quartieri ghetto e le enclave di lusso: le nostre aree urbane somigliano oggi ad un territorio a macchia di leopardo». Le conseguenze? «Innanzitutto una fortissima spinta alla frammentazione. E poi dentro alle città si è persa quella varietà sociale che significava convivere tra diversi nella stessa porzione di spazio». E, come se non bastasse, forme di alienazione, per cui persone, giovani, anziani vengono, di fatto, tagliati fuori dalla vita culturale, economica e istituzionale.  «Dove le relazioni di scambio non esistono». L’omologazione ha la meglio sulla differenziazione e la rassegnazione domina sulla speranza. In uno spazio così organizzato, non c’è più nemmeno mobilità (sociale): «ogni prospettiva di miglioramento della propria traiettoria di vita viene meno», spiega Boeri. E – a quel punto – il passo verso l’antagonismo ribelle, la rivolta radicale e l’insurrezione è breve. Brevissimo.
Occorre allora “fare città”. Come? Con la (buona) politica. «Politiche sono le leggi che disciplinano il welfare, gli incentivi alle famiglie, la redistribuzione dei redditi, la promozione di comunità di impresa che offrano occasioni di scambio e di mobilità sociale». L’urbanistica deve ristabilire un rapporto con la politica, le politiche pubbliche devono essere intelligenti, ascoltare istanze e bisogni, promuovere la relazione e lo scambio.
Tema affascinante e profondamente “politico”, nel senso (vale la pena specificarlo) etimologico del termine, di gestione della cosa pubblica. Architettura e politica, la strana coppia? Solo apparentemente. Già perché, in fondo, le due “arti” sono sempre state intrecciate, eccome. Soprattutto oggi, che i grandi temi della politica sono quelli della sostenibilità, dell’energia, della questione ambientale, delle rinnovabili e della riorganizzazione dello spazio sociale. Cosa c’è – in fin dei conti – di più politico che organizzare e gestire lo spazio in cui viviamo?


Stefano Boeri, “Anticittà”, Laterza, 2011, € 12