giovedì 5 aprile 2012

Se telefonando



Ero a Londra, nell’agosto 2011, quando la furia distruttrice si scatenava sui quartieri periferici della capitale britannica. London’s burning”, cantavano i Clash negli anni ’70. E Londra – la scorsa estate – si è infuocata davvero. Quattro giorni di totale anarchia. Totthenam, Hoxton, Islington: tante le zone della metropoli teatro degli scontri. Ma tutta la città ha sofferto, percependo chiaramente quanto stava avvenendo («Oggi chiudiamo prima», mi ha spiegato scura in volto una cameriera nella centralissima Regent Street, dove un improvvisato coprifuoco sembrava l’unica difesa alla minaccia dei manifestanti di invadere il cuore pulsante – e turistico – di Londra). Massiccia la mobilitazione delle forze dell'ordine, ovunque annunciate da sirene di ogni tipo.
Protagonisti di quei giorni, oltre ai giovani (sneakers e felpa con cappuccio di ordinanza) e a David Cameron – rientrato di gran fretta dalle vacanze in Toscana per gestire l’emergenza – sono stati i telefonini. Sì, proprio i cellulari, è soprattutto i sistemi di messaggistica istantanea (un esempio su tutti il Blackberry Messenger service), rei di aver reso possibile una capillare organizzazione dei tumulti. 
È di questi giorni la notizia delle nuove misure legislative messe in cantiere dal governo britannico che renderanno più facili i controlli sulle comunicazioni elettroniche e telefoniche. La Gchq (Government Communications Headquarters) – l’agenzia inglese di spionaggio elettronico – potrà richiedere alle aziende della telcomunicazione e del web informazioni in tempo reale su quantità, durata e destinatari degli scambi – e-mail, telefonate e messaggi – mentre per accedere ai contenuti sarà necessaria la richiesta del giudice.
La proposta di oggi fa il paio con quella – suggerita da Downing Street nelle ore immediatamente successive ai riots – di bandire dalla rete dei social media (Facebook e Twitter in primis) le persone sospettate di incitare alla violenza o di pianificare azioni rivoltose. Durante i disordini di agosto, alcuni utenti di Twitter, ad esempio, sono stati accusati di aver di aver incoraggiato gli atti vandalici a Totthhenam, mentre altri – attraverso il web – davano istruzioni e suggerimenti per estendere la protesta alle zone della capitale ancora immuni.
Tutto ciò è necessario per combattere terrorismo e crimine? Forse. Ma di certo simili proposte sollevano numerosi problemi. E non di poco conto. Chi stabilisce se un dato contenuto è pericoloso? Chi decide quando un messaggio o un post è da eliminare? Quali sono i confini tra il lecito e l’illecito? Questi gli interrogativi più frequenti e molte delle associazioni della società civile si stanno già mobilitando, inducendo nel governo – riporta il The Guardian di ieri – alcuni tentennamenti. 
Già, perché il problema è quello di non sacrificare – in nome della sicurezza – quella freedom of speech che è a fondamento della cultura anglosassone e, con essa, quei diritti civili che proprio la Gran Bretagna, per prima, ha insegnato al resto del mondo. 

Il messaggio della BlackBerry Uk in occasione dei disordini di Londra

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