lunedì 18 giugno 2012

La Grecia, tra il mito di se stessa e la crisi

Oli Scarff/Getty Images

«Non è certo una novità, è molto tempo che in Grecia viviamo nella luce di una stella morta», spiega Dimitris Dimitriadis, 68 anni, drammaturgo saggista, poeta e traduttore, intervistato da Le Monde a proposito del suo paese, mai come oggi in (profonda) difficoltà. Ma che forse, con il voto di domenica, ha deciso di voltare pagina, di andare avanti e provare a risalire la china. «Quello che caratterizza la Grecia è una sorta di stagnazione, di immobilismo mentale. Si rimane intrappolati in abitudini psicologiche e sociali, ci si adagia su una tradizione morta e non si pensa più a rinnovare – continua – si tratta di un problema gravissimo. Un paese con una storia come la Grecia è bloccato nel meccanismo stesso della storia. Per questo motivo siamo arrivati a questa situazione. Tutto quello di cui si parla, questa grande eredità greca di cui ci si vanta, è chiusa in modelli preconcetti, in stereotipi».
E, ironia della sorte, proprio lui – in Muoio come paese, opera risalente all’ormai lontano 1978 – aveva profetizzato un simile destino: «ho scritto questo testo 35 anni fa. Il paese era uscito dalla dittatura dei colonnelli, era un periodo pieno di speranze, di promesse e di ricchezza. Mi trovavo in una situazione personale di solitudine assoluta, che mi ha spinto a scrivere questo testo che ha preso la forma di una parabola: parlo di un paese che muore perché non accetta la propria fine e non accetta l'altro. Un paese che si sente assediato da mille anni, che non accetta quello che chiama il nemico, che non vede che il "nemico" è la sua stessa prospettiva di futuro».
Dimitris Dimitriadis
Nelle parole di Dimitriadis, dunque, la crisi appare, prima che economico-finanziaria, storica e culturale. «il sistema politico nel quale viviamo in Grecia, e che risale all'occupazione ottomana (quindi a diversi secoli fa), è completamente clientelare. I grandi proprietari terrieri di un tempo sono stati sostituiti dai partiti politici, ma i rapporti con la popolazione sono rimasti gli stessi. Lo stato appartiene al partito, e il partito sfrutta le risorse dello stato per mantenere il suo sistema clientelare».
E non nasconde le responsabilità dei cittadini greci, rei di aver «vissuto con facilità e superficialità». «I nostri politici sono l'immagine del nostro popolo. Questa deplorevole mentalità interessa tutta la popolazione greca. Spesso ho l'impressione che una forma di volgarità, di maleducazione, abbia conquistato il nostro paese».
Da sempre si parla della Grecia come della"culla" della nostra civiltà «In realtà dobbiamo renderci conto che questa culla è diventata la nostra tomba. Ma una tomba può a sua volta diventare una culla. Finora l'umanità ha sempre saputo rinnovare le sue forze e i suoi modelli di civiltà attraverso le sventure e le catastrofi. E non vi è alcuna ragione per pensare che non possa continuare a farlo».

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