venerdì 21 settembre 2012

Europa: verso dove?

La scorsa settimana molto si è parlato, anche in Italia, della Corte Costituzionale tedesca che, con la sua sentenza, ha salvato in un sol colpo Euro ed Europa. Legittimando gli strumenti di stabilità finanziaria faticosamente ideati da Merkel & Co. nei tormentati mesi passati, i giudici di Karlsrue, infatti, hanno evitato il tanto temuto tracollo della moneta unica, dei mercati e del castello europeo tutto. Ma – ancora una volta – non basta. La stessa sentenza, infatti, prevede che Bundestag e Bundesrat siano costantemente informati delle decisioni relative al fondo salva stati e che, ai fini di un aumento del contributo teutonico al meccanismo di stabilità, venga richiesto il nulla osta del Parlamento. Dalla pronuncia e dai paletti posti (ad onor del vero, più soft rispetto alle previsioni), dunque, trapelano ancora una volta ancestrali dubbi e atavici timori: quelli relativi al rischio di una eccessiva sottrazione di sovranità, a detrimento degli Stati nazione e a favore di un’Unione che, secondo molti, non ha ancora raggiunto accettabili livelli di democraticità. Il dibattito, lungi dall’essere moda delle ultime ore, va avanti da mesi. Almeno negli altri paesi europei. A dare il la è stato Ulrich Beck, che – dalle colonne del Guardian – ha posto, alcuni mesi fa, un quesito di non poco conto: come può l’Europa dei burocrati divenire l’Europa dei cittadini? «Ciò che andrebbe potenziato è la democrazia europea. Il rule of law e il mercato non sono sufficienti, abbiamo bisogno di una società civile», scrive Beck. E invoca forme di democrazia diretta: «senza la possibilità, su scala transnazionale, di partecipazione dal basso – avverte il sociologo – senza referendum sui temi europei, l’intera impresa è destinata a fallire». Lancia anche la proposta (sostenuta da molti altri) di un Presidente dell’Ue eletto direttamente da tutti i cittadini di Eurolandia e di una Costituente che ridisegni i confini – politici, istituzionali e ideali – dell’Ue. E proprio su questo punto gli fa eco Habermas, che si fa portatore del concetto di “democrazia transnazionale”. Utopia? Secondo il filosofo tedesco no, dal momento che le basi di un simile progetto politico si ritrovano nella attuale Unione, che dovrebbe però abbandonare lo «stile burocratico-gabinettistico sinora consueto».
Insomma, anche se i giudici tedeschi hanno evitato il terremoto, occorre comunque “ripensare”, questa Europa, che, per come oggi è strutturata, rende ancora attualissima la definizione datale da Jacques Delors – padre nobile dell’Ue – di “oggetto politico non identificato”. Anche i giornali, in questi giorni, stanno facendo la loro parte e cominciano a porsi interrogativi. «Cercherei soluzioni più innovative, più appropriate alla nostra epoca, per esempio forme istituzionalizzate e paneuropee di deliberazione e di partecipazione per tutti coloro che lo desiderano», scrive Jacek Żakowski per Gazeta Wyborcza, una delle più importanti testate polacche. E invoca una lungimiranza che sembra mancare agli attuali leader europei: «i rimedi efficaci dovranno tener conto della natura socioculturale delle attuali tensioni, senza prendere di mira esclusivamente la gestione a breve termine di questa strana creatura che è oggi l’Unione europea». «La battaglia, ora, si allarga dall’economia alla politica – spiega Andrea Bonanni su Repubblica – dalle istituzioni finanziarie si estende ai Parlamenti, ai governi, alle urne in cui nei prossimi anni le democrazie saranno chiamate a decidere il futuro del continente». Dopo aver salvato la moneta, insomma, ora bisogna salvare l’Europa, «conferendole quella sovranità che ancora non possiede». E di nuove idee e nuovi ideali ha parlato anche il Presidente della Commissione europea Barroso, nel discorso sullo Stato dell’Unione, pronunciato lo scorso 12 settembre. «La globalizzazione vuole un’Europa più unita. Più unità vuol dire più integrazione. E più integrazione vuol dire più democrazia. Più democrazia europea». E mentre non lascia dubbi sull’integrità dell’Unione o sull’irreversibilità dell’euro, Barroso invoca la costruzione di uno spazio pubblico veramente comune. Serve, detto in altri termini, una (vera) opinione pubblica, luogo per eccellenza della rappresentanza e della partecipazione, ambito, a volte, della decisione, più spesso della discussione e del confronto. «Non possiamo continuare a risolvere i problemi europei attraverso soluzioni nazionali, il dibattito si deve svolgere nelle nostre società e tra i nostri cittadini. Oggi, però, mi rivolgo anche ai pensatori europei, agli uomini e alle donne di cultura, perché prendano parte a questa discussione sul futuro dell’Europa: l’indifferenza o il pessimismo degli europeisti sono ancora più pericolosi dello scetticismo degli antieuropei».

Questo mio contributo è stato originariamente pubblicato 
sul portale di Libertà e Giustizia, associazione nazionale di cultura politica. 

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