mercoledì 20 novembre 2013

Can you hear me?



Ieri ho pubblicato l'allarme lanciato dai geologi sardi, che non più di due mesi fa segnalavano l'elevato rischio cui sono esposti i comuni dell'isola. Oggi è la volta del consiglio nazionale dei geologi che pubblica sul proprio sito un comunicato. Il titolo è più che eloquente: "Dalle parole ai fatti, nel 2013 non si può morire così".
Eccolo:



"Negli ultimi 60 anni gli eventi naturali a carattere disastroso sono stati ben 3.362 e sono collegabili principalmente a fenomeni come improvvise inondazioni, frane di tutti i tipi e di tutte le dimensioni, colate di fango e detriti. 
Con l’arrivo delle nuove piogge, al manifestarsi di nuove alluvioni ci si ritrova a ribadire stessi concetti, ad inseguire emergenze, a far la conta di danni e vittime. 
Il territorio è la più grande infrastruttura, la sua salvaguardia non può più aspettare, non è possibile prescindere dall’attuazione di misure rigide e ragionate finalizzate a garantire ad ampio raggio adeguati interventi nell’ottica di un concreto cambio di rotta. Solo quando la cultura della emergenza sarà radicalmente sostituita da quella della prevenzione potremo ritenerci soddisfatti. L’abusivismo e l’illegalità sono stati tra le cause principali dello scempio del nostro territorio, con i conseguenti conteggi di danni, distruzioni e lutti.
Proprio 50 anni orsono, il 3 febbraio 1963, lo Stato italiano definì, attraverso la Legge n. 112, i criteri per esercitare la professione di geologo. Al geologo venne attribuito per la prima volta un corpus sistematico di conoscenze ed un profilo professionale specifico e soprattutto esclusivo, che a partire da quella data sono stati riconosciuti dall’ordinamento giuridico del nostro Paese.

È da allora che i geologi lanciano continui allarmi inascoltati. Vogliamo ripercorrere    questi 50 anni riproponendo gli interventi fatti a salvaguardia di un’Italia troppe volte  flagellata dal susseguirsi di eventi distruttivi, talvolta impudicamente definiti disastri naturali". 

E snocciolano una serie di dichiarazioni alla stampa rilasciate nel corso degli anni, a testimonianza della loro costante attenzione alle condizioni del nostro paesaggio.  "La Penisola è in pericolo. Non è uno slogan pubblicitario, è una realtà - scrivevano niente meno che nel 1971 - non siamo qui per fare delle polemiche sterili. Vogliamo solo ribadire la necessità di interventi organici, chiedere ai responsabili della cosa pubblica di adottare i provvedimenti e di creare gli strumenti legislativi idonei. L’appello di oggi diventerà l’atto di accusa di domani. Atto di accusa contro chi poteva provvedere e non ha provveduto. Siate sicuri che sarà un’accusa pesante. Pesante per le sciagure che sicuramente affliggeranno il nostro Paese e che, facili cassandre, possiamo già fin da ora prevedere”.

Da un'inchiesta del Consiglio dei Geologi condotta nel 1975 risultava già allora come 
la pianificazione territoriale fosse la cenerentola delle politiche pubbliche, trascurata da leggi urbanistiche succedutesi nel tempo ed in grado solo di approvare piani di fabbricazione e piani regolatori del tutto ciechi rispetto alle specifiche realtà territoriali. 

E nel 1987 - in occasione della presentazione del libro bianco "Territorio-Ambiente" - i geologi parlavano di "una inquietante serie di inadempienze di Stato e Regioni di fronte ai rischi che si corrono in diverse zone. È difficile capire come le Regioni riescano ad organizzare e pianificare l’uso del territorio, visto che non hanno provveduto, nel 50 per cento dei casi, a rendere obbligatorie le indagini geologiche preventive ai piani urbanistici". 




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