Sì, ma non troppo.
Insomma, nì. Questo sembra essere – riassumendo – il risultato del referendum
che ha chiamato i cittadini croati ad esprimersi sull’ingresso del loro paese
nell’Unione europea. Se l'esito è confortante – ha votato sì il 66% – a “raffreddare” quello che altrimenti
sarebbe un successo pieno è il tasso di astensione: “l’affluenza del 43,6 per
cento al referendum è la più bassa mai registrata per questo tipo di
consultazioni su scala europea”, scrive Senol Selimovic su Sloboda Dalmacija.
Ma, a ben guardare, quello
che esce dalle urne croate è un risultato che Bruxelles può vivere con
sollievo: la crisi, si sa, ha limato non poco l’appeal della “casa comune europea”, accusata di ritardi e
tentennamenti nella gestione delle difficoltà economico-finanziarie. Ecco
allora che il sì, sia pur tiepido, è un buon risultato. “Votando a favore dell'adesione, i croati hanno dimostrato
che l’Ue non era soltanto un progetto delle élite politiche, ma un obiettivo
condiviso”, osserva Augustin Palokaj (Jutarnji List). L'ingresso è previsto per il primo luglio 2013, quando la Croazia diventerà ufficialmente il ventottesimo paese dell'Ue.
Armati di sano realismo,
insomma, i croati hanno deciso di aderire all’Ue, senza però sparare i fuochi
d’artificio. Avrebbero stonato con il clima mesto della crisi.
Nessun commento:
Posta un commento