mercoledì 19 giugno 2013

Beppe, le epurazioni e la democrazia (evaporata)



















«La senatrice Adele Gambaro ha rilasciato dichiarazioni lesive per il M5S senza nessun coordinamento con i gruppi parlamentari e danneggiando l'immagine del M5S con valutazioni del tutto personali e non corrispondenti al vero»
Con queste affermazioni apre il post nella homepage del blog di Beppe Grillo dedicato all’affaire Gambaro. Affermazioni che contengono anzitutto una macroscopica “non-verità”. La senatrice, esposta ora al pubblico ludibrio, infatti, non ha rilasciato dichiarazioni lesive sul (e per il) M5S, ma su Beppe Grillo e, segnatamente, sui toni da questi adottati, definiti «minacciosi». E su esplicita domanda del cronista di Sky – «secondo lei in questo momento il problema del movimento è Beppe Grillo?» – risponde: «Sì, noi lavoriamo tantissimo e questo non viene percepito all’esterno», difendendo, evidentemente, il lavoro dei deputati-cittadini eletti nelle liste pentastellate.
Quindi, nessuna dichiarazione a danno del Movimento in quanto tale.
A meno che non si assuma – come sembra fare il comico genovese – che esista una totale coincidenza, una piena sovrapposizione, tra il M5S e il suo capo.
In questo senso, dunque, il Movimento di Grillo altro non sarebbe che l’ennesimo Partito-Persona (movimento-persona, a voler essere precisi), di cui è tanto ricca la storia del nostro paese, quel genere tanto in voga nell’Italia dei leader, dei leaderini e dei semi-leader.
Secondo questo modello nacque, ad esempio, la Lega Nord – imperniata attorno alla folkloristica figura di Umberto Bossi, lo stesso di cui oggi una parte del partito (sbiadito più che mai) chiede l’espulsione. E poi (e soprattutto) la fu Forza Italia, successivamente metamorfizzata nel Popolo delle Libertà, che secondo Norberto Bobbio fu il “primo partito personale di massa”. «Chi ha scelto Forza Italia – spiegava Bobbio – non ha scelto un programma, ha scelto una persona». E questo a voler circoscrivere il discorso nel perimetro della Seconda Repubblica, perché altrimenti la storia degli individui pericolosamente ed immeritatamente riconosciuti quali portatori di carisma, investirebbe certi altri periodi non propriamente felici per la storia del paese.
I partiti-persona,  insomma, sempre meno “cinghie di trasmissione” e sempre più semplici aggregati elettorali forti solo dei propri condottieri, loro, sì, in grado di scuotere, ammaliare ed affascinare i cittadini. In questi casi, non è il partito che crea il leader, ma è il leader a creare il partito. Partito che – è evidente – non può che essergli fedele e riconoscente fino alla fine, pena la sua stessa dissoluzione.
In questa cornice, la dissidenza e l’offesa diretta al vertice non hanno spazio, né cittadinanza. A reprimerli, il ruolo dominante e prioritario del capo – padre padrone, dominus infallibile – e la pratica delle epurazioni' da lui stesso pilotate.
«Per mezzo di tali epurazioni – si legge alla voce “totalitarismo” nell’enciclopedia Treccani – viene edificata, consolidata e tutelata la posizione monopolistica del capo, che è insieme espressione e fulcro del totalitarismo». «Sono i capi totalitari – si legge ancora – a costituire l'autentico nucleo del sistema di dominio».
La democrazia? Evaporata. Inevitabilmente evaporata, dal momento che quello democratico è il luogo del confronto, del dibattito e della deliberazione, dove tesi e antitesi si fanno sintesi proprio grazie alla critica. 
Che il M5S costituisca un piccolo sistema autoritario, un microclima in cui l’apice mette a tacere la base pensante?
Già perché i fatti più recenti ci rimandano sempre più l’immagine di un sistema in cui l’arbitrio e le decisioni di uno prevalgono sulla libertà e le parole di altri. Con l’astuzia di dare alla manovra di epurazione del malcapitato (o della malcapitata) di turno, una grossolana “rabberciatura” democratica, attraverso il voto – misterioso, inafferrabile e acriticamente plebiscitario – della rete. 

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