Marinus van Reymerswaele, Il cambiavalute e sua moglie, 1540
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Per
anni hanno incensato l’imprenditore-politico, benevolmente invidiandone le
ricchezze e trascurando i modi poco limpidi attraverso cui, in buona parte, se
le era procurate.
Per
anni hanno visto in lui l’incarnazione di quello che avrebbero voluto essere,
l’idea immaginaria e idealtipica di se stessi, il desiderio recondito, il sogno
nel cassetto.
E oggi?
Oggi tutti a prendersela
con i ministri del Governo Monti (ottimo come sempre il Buongiorno di Gramellini su La Stampa), che – sfidando anni
ed anni di opacità e di sommerso – hanno coraggiosamente infranto la tradizione
pubblicando i dati relativi ai loro redditi e alle loro proprietà.
Ci saremmo attesi se non
un coro di applausi, almeno un cenno di benevolenza e di approvazione per una
simile operazione trasparenza.
E, invece, un coro si è
levato, ma un coro di scomposte reazioni, infarcite di luoghi comuni e di
demagogia, dove la ricchezza – che fino a prova contraria queste persone si
sono meritate – viene additata e messa alla gogna, con un’ostinazione degna dei
peggiori strali mediovali. La pecunia – improvvisamente – è maledetta e sospetta, mentre stranamente non lo
era nell’era dei Berluscones.
Insomma, si condanna
quando non c’è da condannare e non si condanna quando c’è da condannare.
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