L’Eurogruppo ha
(faticosamente) raggiunto un accordo sui nuovi aiuti alla Grecia. Ma questo lo sapete già.
Così come sapete già che 130 miliardi confluiranno ad Atene, sotto il controllo
degli osservatori della cosiddetta troika, e cioè dell’Unione, della Banca centrale europea e del Fondo
monetario internazionale.
Quello che – in tutta
questa vicenda – risulta più che atipico, è l’entusiasmo quasi europeista di
una Gran Bretagna che – per tradizione e per scelte recenti – particolarmente
europeista non è mai stata. «Il salvataggio della Grecia è più che positivo per
la Gran Bretagna», ha commentato un euforico George Osborne, ministro delle
finanze nella Queen’s Land. «Risolvere la situazione greca è un passo
fondamentale per risolvere la crisi dell’Eurozona», ha aggiunto. E – va da sé –
risolvere la crisi dell’Eurozona rappresenta uno stimolo fondamentale per l’economia
inglese.
Ancor più
stupefacente è che proprio il Regno Unito figuri – assieme a Italia e Olanda –
tra i paesi dai quali è partita l’iniziativa di scrivere un documento
programmatico sotto forma di lettera, inviato a Barroso e a van Rompuy. Il testo – che prende spunto da una
precedente missiva di Mario Monti al Consiglio europeo – chiede, in poche
parole, “più Europa”. Si invoca il completamento del mercato interno europeo (in
primis nel settore dei servizi),
la realizzazione del mercato unico digitale e del mercato unico dell’energia.
Al fine di
potenziare i commerci, si auspicano accordi internazionali, mentre è ritenuto
di vitale importanza ridurre quella zavorra di oneri amministrativi che pesano
sulle imprese europee. Altro obiettivo della ricetta per la crescita è quello
di promuovere – nei singoli paesi – un mercato del lavoro ben funzionante, che
crei più opportunità di impiego. E, dulcis in fundo, operare per ottenere un “settore dei servizi finanziari
che sia solido, dinamico e competitivo, che crei posti di lavoro e offra
sostegno vitale a cittadini ed imprese”.
L’iniziativa italo-britannico-olandese
ha poi raggranellato il consenso di altri 9 paesi (Estonia, Lettonia,
Finlandia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Svezia e Polonia).
Manca – e l’assenza si nota – la firma di Germania e Francia, i due paesi che
più negli ultimi mesi hanno gestito gli affari europei, sollevando da più parti
il timore di un asse eccessivamente decisionista ed accentratore.
Che
grazie al rinnovato attivismo europeo italiano si siano modificati gli assetti di
potere dell’Unione, creando alleanze inaspettate ed insolite? E’ presto per dirlo. Certo è che oggi collaborazioni ed intese nell’Europa a 27 si sono fatte più fluide e meno
prevedibili.
Benvenuti nell’Europa
dalle geometrie variabili.
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